Rosaria e Addolorata sono due sorelle nubili. Affette da una zoppìa causata da una poliomelite giovanile, del nubilato meglio detto zitellaggio, hanno tutte le caratteristiche: caparbie, litigiose, isteriche. Convivono da decenni l’una addosso all’altra, in un tran tran casa e bottega, una merceria che dà qualche guadagno, circondata ormai da negozi cinesi e kebab. Si rimbeccano, si aggrediscono, si odiano: una tirchia e aggressiva, dominante; l’altra spendacciona e introversa, classica gatta morta che si anima con cartomanti televisivi e dialoghi telefonici con parenti: un cugino che sposa la badante moldava, pettegolezzi banali sul vicinato. “Le Signorine”, di Gianni Clementi, al debutto al Teatro Verdi di Salerno, dopo un’anteprima calabrese, affidato a due signore della scena come Isa Danieli e Giuliana de Sio, echeggia, anche per le biografie teatrali delle protagoniste, la “storica” drammaturgia napoletana: la prima, Rosaria, inveisce come la Clotilde ruccelliana contro la cugina Gesualda ai tempi di “Ferdinando”; l’altra non può farci dimenticare l’Adriana di “Notturno di donna con ospiti” dello stesso autore, in più consulta la tivvù come la Jennifer delle “Cinque rose” con le radio libere. Ma qui non siamo in una villa vesuviana né nel quartiere dei travestiti; il “fuori” non ha quell’inquietudine rapace degli autori culto napoletani, i tempi sono cambiati ci suggerisce l’autore, anche se quel carattere di donne sole permane; si parla napoletano ma siamo nel mondo un po’ triste e tutto sommato normale di due signorine che potrebbero abitare nei vicoli della vecchia Roma. Così le battute rimbalzano per Rosaria e Addolorata tra uno stacco di luci e musiche, c’è qualche sogno che le turba la notte, l’evocazione di un insulto al corpo che le ossessiona, la “coscia secca”, la canzoncina della gallina zoppa, ma con la luce del giorno tutto rientra nel solito ménage: alterchi senza fine sul prezzemolo delle vongole “fujute”, sulla scelta dei vestiti e su ogni cosa di un quotidiano incerto, senza pace. Se non fosse per un inaspettato colpo di scena, al ritorno dal matrimonio per il cugino Tonino, dopo risate e un accenno di complicità tra sorelle, arriva la catastrofe che ha le sembianze di un ictus e che piomba Rosaria nella gabbia di una paralisi muta sulla sedia a rotelle. E’ il contrappasso che si merita, ora quella belva di sorella tace e Addolorata non si lascia certo sfuggire l’occasione. La scena si trasforma, si adorna di un televisore nuovo di zecca a quaranta pollici, Addolorata può finalmente godersi la vite, spende e spandere in faccia alla impotente sorella, forse arriva anche una vrenzola di fidanzato. Siamo all’epilogo, Addolorata ne ha combinate di tutti i colori, si è venduta pure il negozio, saltella come una pazza sulle note di Giuni Russo, e soffoca anche l’ultimo grido strozzato di Rosaria. Un finale di partita dolce e amaro con sfumature quasi beckettiane, tra Hamm e Clov e Baby Jane, in fondo la malattia è pur sempre una salvezza. Due generazioni di attrici, due scuole, cucite sui personaggi, con una scelta felice e azzeccata; un mostro di irruenza la Danieli che domina la scena, si “mangia” la sorella, un’indomabile animalessa da palcoscenico; sorniona, malmostosa, la ”mite” De Sio borbottante in un monologo interiore molto “zitellesco”. Testo leggero, di sicuro intrattenimento, una regia che lo accompagna con musiche e canzoncine pop. Due grandi attrici, una buona storia, molte risate e molti applausi. La regia è di Pier Paolo Sepe, lo spettacolo sarà a Napoli in dicembre al Teatro Diana.