L’11 febbraio Manlio Santanelli ha compiuto 80 anni e per l’occasione il Nuovo Teatro Sanità gli ha dedicato una settimana di eventi con gli interventi di molti dei suoi attori come Isa Danieli, Nello Mascia, Marina Confalone, Gea Martire, Federica Aiello, Roberto Azzurro, Fabio Cocifoglia; e con lo spettacolo Domanda di desiderio, testo inedito prodotto dal Nuovo Teatro Sanità. Santanelli ha esordito negli anni ’80 con il testo culto Uscita d’emergenza con il quale abbandonò il lavoro alla Rai e scelse definitivamente la carriera di autore. Da allora sono seguiti grandi successi con Regina Madre, Bellavita Carolina, L‘Aberrazione delle stelle fisse, Il baciamano, Disturbi di memoria, Le tre verità di Cesira, Un eccesso di zelo, L’isola di Sancho e tanti altri. Hanno recitato le sue opere altri grandi attori come Milena Vukotic, Sergio Fantoni, Lello Arena, Luca De Filippo, Virginio Gazzolo. Le sue opere sono state tradotte e messe in scena in Francia, Russia, Svizzera, Bulgaria, Austria, Belgio, Repubblica Ceca e altri paesi. I suoi testi sono andati in onda per la Rai nella serie “Palcoscenico”, pubblicati in numerose edizioni. Avvicinato al teatro europeo e ad autori come Beckett, Ionesco, Pinter, il teatro di Santanelli si muove in quell’universo di confine del paradosso, dell’incongruo, dello spaesamento; dentro gli abissi degli animi umani, nelle relazioni insidiose dei legami familiari e sentimentali; o va a rimestare nei reperti della tradizione partenopea costruendo immaginosi deliri ed iperboli e lavorando sulla lingua come un maestro cesellatore. Inventore insieme a sua moglie Livia Coletta e con l’aiuto di Ileana Bonadies del Teatro cerca casa, rassegna di piccoli spettacoli itineranti che si svolgono nelle case di Napoli e della Campania e che è riuscito a diventare in pochi anni un fecondo circuito teatrale fuori dai canali ufficiali. Per Youcamp ha scritto il testo qui di seguito che siamo felici di pubblicare.
E LA LUCE FU
E ora ci uzzola di raccontare quello che succedeva, anzi, che cocozzielli che siamo!, quello che non succedeva quando non esisteva ancora nulla in nessun posto, e sbagliamo nel dire ‘quando’ e ‘posto’, dal momento che il nulla non poteva vantare né spazio né tempo, nulla come assenza di tutto, come dire che il mondo stava in culo al mondo, cioè in culo a se stesso, una sorta di boumerang prima dell’esistenza dell’Australia e dei suoi aborigeni, un autogol prima della nascita del gioco del calcio, e di conseguenza non era disponibile un bel niente, neanche un cucchiaino da caffè, o un paio di gemelli da sera – anche per l’assoluta mancanza di sere -, o una poltrona Frau, o una nuvola, o una schiocca di ciliegie, o una chioma per mantellare le spalle o un bouquet di peli per inghirlandare minareti maschili e grotticelle femminili, cose che non si trovavano neanche di contrabbando non essendoci ancora alcun bando da contrastare, o ancora di più alla borsa nera, in assenza di colori figuratevi di borse!, e così dìcasi per gli evasori fiscali non avendosi fisco da evadere, e se qualcuno non ci crede e dice, Com’è possibile, voi ci volete sbertulare, almeno gli evasori fiscali, ci tocca arrispondergli, E’ materia di fede, prendere o lasciare, credo quia absurdum recita il principio per bocca del ‘principiante’, per cui questo preambolo finisce per risultare inutile perché per avere una ragione d’essere a un preambolo occorre un ambolo, e purtroppo mancavano anche gli amboli prima del principio di tutto, del fiat lux, diciamo zero su tutta la linea, picche, no vhere e no when, qui è assente anche il qui, e dunque sarebbe stato il trionfo della noia solo se fosse esistito qualcuno disposto ad annoiarsi, ma latitavano anche i qualcuni, per farla breve, non esisteva nemmeno l’ombra del creato e di conseguenza ancor meno la penombra, visto che la creazione non era ancora cominciata. Fu così che il Padreterno si affacciò su tanto niente, che moltiplicato per niente faceva nientissimo, si guardò intorno e, ancorché di malavoglia, si pose il problema dell’inutilità di essere Padreterno quando non esistevano ancora padri e figli (Turgheniev non se lo sognava ancora di essere Turgheniev), insomma uomini a tempo determinato, vita e morte, dei miracoli senza miracolandi neanche a parlarne, e dunque l’Altissimo, ancorché di là da inventare ogni strumento di misura che ne decretasse la somma altezza, si disse, Io devo fare qualcosa, se no mi giro i pollici, mi do i pizzichi, conto le pecore che non ci sono ancora, enumero i peli della mia barba prima di aver fatto ordine tra i numeri, e così mise mano alla Creazione. Ma prima necessita dire che Il Signore dei Signori, mentre si sciucquagliava con questo grande proposito, che il più delle volte lo faceva spropositare, nel silenzio dell’eterno vuoto pneumatico ante omnia plena, o che vogliasi appellare A. U. N . (ante universum natum), sentiva zanzariere nella sua mente strane sonorità che sfrucoliavano la sua attenzione, erano stracci e mappine di testimonianze che Lui, in qualità di chi tutto intende e dal quale poi sarebbe provenuto l’umano intendimento, com’è come non è, diceva, Ma che mi stanno a significare questi suoni?, e andate a dargli torto, un’ Ente che ancora non s’è applicato a metter su l’entente avverte aleggiare dentro di sé inespresse espressioni molto vicine ad un mio regno per un cavallo, chiamatemi Ismaele, il raggio al quadrato per tre e quattordici, eppur si muove, se avanzo seguitemi, che dice la pioggerellina di marzo che batte sui vetri, o magari dopo di me il diluvio; quest’ultima espressione poi lo lo sdivinava da capo a piedi, Come è possibile? si ripeteva, Io non ho ancora messo in cantiere Noè e c’è chi già prevede il diluvio e il postdiluvio?; e qui una soddisfazione ce la prendiamo noi, una pietra dalla scarpa ce la togliamo noi, perquantoché una volta tanto possiamo dire di saperne di più del Superno, le enigmatiche espressioni che lo sfastidiavano erano anticipazioni di quanto sarebbe avvenuto poi nel Creato a creazione avvenuta. Fu così che Nostrodio si dette una mossa, non bastandone una se ne dette un’altra, e si applicò ad inventare quanto poi sarebbe stata materia del Genesi, ovverortodossia la creazione dell’Edificio Universale, questo se gli autori della Bibbia si fossero attenuti alla realtà dei fatti, ma quelli appena si trovarono la penna in mano, poropò!, si sentirono artisti e pensarono, E qui quando ci capita un’altra occasione di poter cacciare dalla nostra testa il primo capolavoro della Storia, e con la fantasia tutta dallo loro parte (per non essere preceduti da altri scrittori con i quali tricchetraccare) se ne uscirono con i sei giorni in cui il niente diventò il tutto, e con il settimo che servì al Creatore per riposarsi, manco fosse un muratore, ché la domenica è l’unico giorno che può passare con la famiglia, e restare assettato a tavola fino alle tre, dimenticando, i lorsignori che i giorni non erano ancora stati inventati, e dunque quel libro è fantascienza del passato remoto, vi raccontiamo noi come e qualmente andarono i fatti. La prima cosa che apparve dal nulla primigenio fu una trovata geniale, rappresentata in facto da una gallina, che detto fatto scodellò sotto l’occhio triangolare del Signore una miriade di uova di tutte le misure, con l’immediato effetto di risolvere seduta stante il problema relativo alla priorità della nascita tra l’uovo e la sua genitrice, e che non se ne parli più! Altro effetto di codesta trovata fu la conferma di quello che sarebbe diventato un insopportabile modo di dire, e che nel nostro caso suona pressappoco in questi termini: “L’occhio del Signore fa ovificare la gallina”, e anche di questo non se ne faccia più parola! Quello che, invece, conta è l’uso che Sua Divinità fece di tante uova, e ciò è presto detto. Egli con mano sicura, essendo lui in possesso di tutte le qualità e dunque anche della sicurezza, le scagliò nel vuoto che subito divenne pieno, con le uova che durante la corsa si incendiarono e diventarono stelle, stelline, stellette. stellone, galassie (queste ultime come mappate di quelle). In principio, come un cinese che al circo equestre fa ruotare i piatti, Iddio si divertì nell’acrobatico esercizio di imprimere ad ogni corpo celeste la sua velocità e di assegnargli l’orbita competente, poi con una levata di spalle (sempre ammessa la figura di un dio spalluto) si sfastidiò, anche perché a seguire i giramenti di tutte quelle palle gli si storzellavano le palle degli occhi e non solo quelle, e così decise che a vegliare sul retto funzionamento di quell’incommensurabile flipper universale ci avrebbe pensato un tale Isacco Nuovotono, e si diede a prendere in esame se avere un figlio o meno, ché se da un lato senza figli non si sentiva abbastanza padre, ancorché eterno, dall’altro già si menabarcava al pensiero dei grattamenti di capa che i figli danno a tutte le età; e poi un figlio comportava la scelta di una moglie, e lui valutando i pro e i contro, avvertiva che sarebbe stato più prudente restare single, unica persona della Trinità, il che avrebbe comportato il non indifferente vantaggio di non avere sempre a che fare con lo Spirito Santo, il quale una ne pensa e cento ne fa, No, no, single, quale Trinità, l’Unità! (e non immaginava che in tal modo, a tempo debito, avrebbe potuto diventare lo sponsor del maggiore quotidiano di sinistra italiano). Quando ad un tratto sobbalzò: si era dimenticato di creare Napoli. Tutte le altre città del mondo, novelle infanti, già cominciavano a gattonare, e alle pendici del Vesuvio niente, non una casa, non una caverna, non un ponte, non un barbone che ci dormisse sotto. Che fare? – No, calma, gentile signor Lenin, sia onesto, il titolo del suo libello è un plagio bello e buono, anche se divinamente titolato –; che fare? ripetiamo, come rimediare allo zarro, ancorché giustificato da quel po’ di lascia e piglia cui può indurre la Creazione, se non altro perché
rappresenta un modello unico, e dunque non esistevano modelli a cui por mente ed ispirarsi? In questa ambascia si dibatteva e si ridibatteva l’Altissimo, quando si avvide che gli era avanzato un uovo dalla mitragliata poc’anzi mandata a bersaglio, se lo guardò, se lo riguardò, concluse che faceva al caso suo, ma nel palleggiarselo da una mano all’altra gliscivolò via andandosi a spiaccicare, guscio tuorlo e albume, per divina combinazione proprio nel punto riservato alla città momentaneamente sfuggita al progetto nel suo compimento. Non era certo un bel vedere, con quella melmaglia che tutto poteva dirsi tranne la base fondante di una città, ma il Padreterno ne aveva in misura bastante di quel compito che si era assunto, voleva godersi in santa pace lo stato di quiescenza eterna a cui era giunto, si disse – quanto incautamente, non spetta a noi avanzarlo, a noi miseri mortali, e chi siamo per giudicare il Giudice Supremo? – si disse, ripetiamo, Proprio bene Napoli non mi è sortita dalle mani e dalla mente, ma ora creo i napoletani e il conto torna, ci penseranno loro ad acconciare il tutto. E, ciò detto, si dedicò a spilluzzicare grappoli di eternità.
Nelle foto Milena Vukotic e Antonello Avallone in “Regina Madre”; Gennaro Cannavacciuolo in “Le tre verità di Cesira”; Sergio Fantoni e Marina Confalone in “L’aberrazione delle stelle fisse”; Isa Danieli; Santanelli al Nuovo Teatro Sanità per l’evento dedicato al suo compleanno il 7 febbraio, “Processo a un autore – Manlio Santanelli alla sbarra” con Edgardo Bellini e Mario Gelardi, intervengono in difesa Federica Aiello, Roberto Azzurro, Fabio Cocifoglia, Marina Confalone, Isa Danieli, Michele Danubio, Gea Martire, Nello Mascia, foto di Claudia Scuro.