Onestamente, è difficile selezionare la classe dirigente. Il Pci aveva organizzato le Frattocchie, mitica scuola di vita e di partito ma la vera scuola era il partito stesso, dove si apprendeva la nobile arte della politica. Berlusconi con Forza Italia pure si è posto il problema, reclutando matricole e quadri con Publitalia, scuola formativa per venditori, esperti di marketing, lobbing e persuasione varia. Nelle varie trasformazioni i nipotini del Pci hanno perso via via per strada questa percorso di iniziazione e apprendimento e ne è venuta fuori la generazione “Leopolda”, una classe di giovani rampanti cresciuta a pane e potere, pronti ad occupare i posti chiave e con una sola grande competenza, sapersi destreggiare abilmente nei labirinti della politica. I 5 Stelle hanno lanciato a questi vari sistemi di potere, una sfida, quella di saltare a piè pari i cosiddetti corpi intermedi e rendere partecipe allo Stato direttamente il popolo. Sfida audace e perigliosa perché si sa che nel popolo c’è di tutto, il bravo ragazzo, la seria insegnante, il buon imprenditore, il sano professionista ma pure una pletora di arrivisti, trasformisti, voltagabbana e faccendieri vari che possono buttarsi a capofitto nelle selezioni via web. E’ un po’ come quando si cerca un fidanzato su internet, sì può trovare l’anima gemella ma anche un serial killer. Via via che i 5 Stelle hanno guadagnato voti su voti e la possibilità crescente di dettare l’agenda politica del paese, questo processo si è reso sempre più chiaro e in parte i grillini sono corsi ai ripari, chiudendosi nella impenetrabile Piattaforma Rousseau, disciplinando i vari interessi anche economici, Grillo da una parte, l’azienda Casaleggio dall’altra. Dinanzi alle sfide che incarichi pesanti richiedevano, si capivano i propri limiti interni, che uno non valeva proprio uno, che non tutti potevano fare tutto, da qui una serie di paletti e la selezione di una propria classe dirigente, quella dei Fico, dei di Battista, dei Di Maio, dei Toninelli e altri. Hanno cercato di mitigare i toni e dare soluzioni, poco efficaci ad esempio sui territori dove la politica tradizionale è più attrezzata e con liste non chiare o semplicemente deboli, spesso ci si tira indietro dalla competizione. Che poi questo finisca con il fare il gioco dell’avversario, o che è proprio il gioco dell’avversario che non si vuole disturbare, pazienza. Quando invece sono in ballo cariche importanti e particolarmente rappresentative, come la presidenza del Consiglio , vuoi per l’accordo pentaleghista, vuoi per la volontà del Presidente della Repubblica, si sceglie un “terzo uomo”, un illustre signore di buon pedigree che non faccia sfigurare in Europa. Arriva così il perfetto sconosciuto Giuseppe Conte, buon curriculum ( abbellimenti a parte), abiti di ottima sartoria, bella presenza, buone relazioni sociali. Un distinto signore ben educato che può sembrare uno stralunato Paperoga ma può reggere l’impegnativo ruolo e ha già avuto un incarico politico nel Movimento. Viaggiare nelle acque procellose dei G7 a cospetto di gente come Merkel, Macron o Trump, dove ti aiutano le diplomazie internazionali e l’apparato cerimoniale dello stato, è niente quando devi districarti in una città come Roma dove i palazzinari comandano dal secolo scorso, le squadre di calcio si intrecciano ad interessi mostruosi e il Campidoglio è il porto più trafficato del Mediterraneo. E’ qui che la presenza del perfetto sconosciuto Lanzalone, che sia o meno responsabile di reati, getta più di un’ombra sulla “regole di ingaggio” della classe dirigente grillina. E’ normale che in una vicenda intricata come quella della crisi dei rifiuti livornese, ci si rivolga ad un accorsato studio legale internazionale che si occupa di diritto comunitario e finanziario, degli appalti e dei servizi pubblici locali; come è normale che, visto l’ottimo lavoro, gli si chieda di nuovo aiuto per la questione del nuovo stadio della Roma, questione spinosissima che la giunta Raggi eredita da Ignazio Marino, il cuor cuore della speculazione edilizia romana, con un intrigante palazzinaro, un progetto faraonico che occupa milioni di metri cubi dell’agro romano, la squadra del cuore con Totti che dice “famo sto’ stadio” e il Campidoglio in mano alla Raggi che non è proprio un gigante. Lanzalone è allora l’uomo giusto, il “Wolf” come lo chiama Parnasi, quello che va e risolve i problemi. Giusto. Ma perché dargli in regalo la presidenza dell’Acea per i servigi resi (che per uno studio come quello è ben poca cosa) e coinvolgerlo in un ruolo che è essenzialmente politico? E’ qui che il meccanismo si inceppa e crea confusione perché quella dell’Acea è una nomina pubblica della più grande partecipata del Campidoglio e la nomina di un grande avvocato che ha studi in tutto il mondo, una decina di professionisti associati non è nè quella di una manager indipendente nè di un quadro al servizio del Movimento. Insomma nel portare Lanzalone a Roma e all’Acea, ci sono due possibilità: o si sbaglia valutazione, nel senso che il Movimento non è in grado di comprendere l’integrità di un consulente e quanto possa essere al servizio del Movimento o invece è proprio la persona giusta, il “Wolf “ capace di sporcarsi le mani a differenza di quelle immacolate di chi lo ha nominato. L’interrogativo lo scioglierà la magistratura ma in ogni caso questo sembra un primo inciampo serio nell’irresistibile ascesa dei 5 stelle.