Si chiude con il 2018 l’anniversario del bicentenario della nascita di Carlo Pisacane, nato a Napoli il 22 agosto del 1818. In occasione dei duecento anni si è costituito a Sapri il Comitato nazionale per le celebrazioni e sono state organizzate numerose iniziative dedicate alla figura dell’eroe risorgimentale e ad una riflessione storiografia sul Risorgimento meridionale. Tra le più recenti il convegno del novembre scorso a Napoli, promosso dal Comitato con l’Università Partenope e il Comune di Napoli, “La rivoluzione napoletana del 1799, Carlo Pisacane e la città di Napoli, Benemerita del Risorgimento Nazionale”; e il convegno organizzato all’Università di Salerno il 6 dicembre,promosso oltre che dal Comitato, dalla Società Salernitana di Storia Patria, dal Comitato o di Salerno dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano e a cui ha partecipato Chiara Pisacane, pronipote del patriota. Sulla figura di Pisacane interviene lo storico Alfonso Conte.
In tempi di revisionismo storiografico e nostalgie borboniche, il ricordo dello sfortunato protagonista della Spedizione di Sapri assume un valore civico rilevante, soprattutto perché consente di riflettere sui tentativi compiuti all’epoca della fondazione dello Stato italiano di legare il progresso civile del Sud ai temi ancora oggi attuali della giustizia sociale e partecipazione attiva e consapevole ai processi politici dei ceti popolari. Pisacane è stato un eroe sfortunato. Guidò la spedizione nel Sud per aiutare i contadini ad insorgere ed a combattere per il proprio riscatto, ma fallì perché quegli stessi contadini, aizzati da un prete filo-borbonico, presero sì le armi, ma contro di lui ed i suoi compagni. Come nel 1799, anche nel 1857 gli intellettuali a capo della rivoluzione non riuscirono a farsi intendere ed i ceti popolari ai quali si rivolgevano finirono per schierarsi con le forze reazionarie. Pisacane è stato un eroe sfortunato anche perché, solo tre anni dopo, Garibaldi dimostrò che era possibile trionfare dove lui aveva fallito, insinuando il dubbio che un diverso livello di capacità e competenze avesse condizionato i due diversi esiti. In realtà, più di tutto, fu la scelta del Generale di presentarsi come liberatore in nome di re Vittorio Emanuele a convincere larghi strati della borghesia meridionale a recidere definitivamente i già deboli legami con i Borbone.Grazie soprattutto all’alleanza con i liberali moderati, Garibaldi ottenne i risultati sperati a livello militare, ma, in realtà, dopo l’Unità, finì per essere sconfitto come Pisacane, poiché la rivoluzione sociale per cuianch’egli aveva principalmente combattuto fu affossata proprio dai suoi alleati moderati. Con il passare del tempo la sfortuna di Pisacane si è tradotta nel tradimento della sua memoria, utilizzata strumentalmente un po’ da tutti nel tentativo di fare propria la figura del martire, trasfigurata dalla retorica risorgimentale nel giovane impavido e generoso, dagli occhi azzurri ed i capelli d’oro: indicato sul finire dell’ottocento come precursore di anarchici e socialisti, e fin qui ancora ci siamo, divenne poi il precedente illustre di nazionalisti e fascisti, infine nel secondo dopoguerra di molti dei partiti della prima repubblica. Ma, più di tutto, Pisacane ha avuto la sfortuna di essere assunto a protagonista di una poesia tra le più note per tante generazioni di italiani, essendo stata a lungo proposta nelle scuole elementari un po’ per educare ad un amore di patria poco sentito e male interpretato, molto di più per il facile ritornello che favoriva esercizi di memoria e consuete recite di fine anno. Di scarso valore letterario, la lirica di Mercantini, nata per celebrare il Risorgimento, è stata gradualmente ridotta, complice la mediazione dei maestri e la capacità di comprensione dei bambini, in una filastrocca orecchiabile ma banale e poco verosimile, basata sull’incontro casuale tra la spigolatrice di Sapri, essa sì precorritrice della ben più nota casalinga di Voghera, ed il “bel capitano” di trecento “giovani e forti”, i quali vagano tra Cilento e Vallo di Diano decisi a morir per la “patria bella”. Cosicché uno dei capitoli più tragici e problematici del Risorgimento si è sedimentato nella coscienza pubblica attraverso i ricordi frammentati e confusi di versi mandati a memoria da bambini, a simbolo del sostanziale fallimento del progetto di educazione civile messo in campo dalle istituzioni pubbliche. Tale fallimento è fortemente collegato all’ansia di revisionismo storiografico ed alla rinascita di nostalgie filo-borboniche, che oggi attraversano l’opinione pubblica meridionale, rendendo più difficile, quasi un esercizio inutile, ricordare Carlo Pisacane a duecento anni dalla nascita. Viceversa, è oggi che, mentre tanti pensano ai problemi del Mezzogiorno iniziati con l’Unità, più necessario appare riandare all’esperienza di un napoletano, di un meridionale, il quale in quel tempo pensò ed agì per un’Italia diversa rispetto a quella che poi effettivamente sorse. Un paese, secondo Pisacane, che sarebbe dovuto nascere dall’azione delle forze popolari meridionali, dal basso, dalla loro volontà di conquistarsi libertà e giustizia socialesenza aspettarsi di ottenere nulla se non attraverso la lotta. Un Sud capace di fare da solo, addirittura in grado di mettere alla guida del processo di unificazione italiana non il re piemontese, né Cavour né Pio IX né Mazzini, ma le sue masse popolari. Le quali avrebbero agito per capovolgere un sistema, per affermare libertà politiche e libertà sociali, poiché diceva Pisacane che le une senza le altre erano solo “mezze libertà”, lì dove più che altrove erano negate e calpestate. La sua visione non fu capita, il suo sogno non ebbe la forza di trasformarsi in progetto politico e l’iniziativa democratica meridionale uscì fuori di scena non solo dalle vicende risorgimentali, ma anche da quelle dei decenni successivi, caratterizzati da un Sud destinato a recepire quasi sempre passivamente temi culturali e politici prodotti nel Nord. Oggi, a duecento anni dalla sua nascita, Pisacane ci parla ancora, in particolare parla ai meridionali, dei modi diversi di intendere l’orgoglio di essere meridionali, della possibilità ancora attuale di diventare protagonisti di una storia diversa.