L’Albero, il sogno di Palomonte

 

Mi si chiede di spiegare come e perché a Palomonte sia riuscito un esperimento politico che ha suscitato curiosità per la sua composizione e soprattutto per la sua imprevista affermazione elettorale. Una sorpresa, visto il contesto che caratterizza tanta parte del nostro paese,  dove anche nei piccoli enti locali prevale un certo professionismo politico arruolato e deteriore. Cominciamo col dire che c’è differenza tra pagare e onorare un debito. E l’etimo spiega quasi tutto. Nel pagare è preponderante l’elemento materiale, nell’ onorare viene in rilievo l’aspetto morale: un debito morale si paga con sentimenti di onore e di onestà. La prima risposta alla domanda “Chi te lo fa fare “, dunque, può essere: la necessità di adempiere  questo obbligo morale, sentito come individuale prima ancora che collettivo, di restituzione alla propria comunità, di miglioramento e di contributo alla rinascita. La seconda risposta  sta  nel termine esasperazione. Ci sono vite, nei nostri paesi,  segnate dall’ esasperazione: uno  stato d’animo che segue  la delusione e anticipa la disperazione. Chi non vuole abdicare alla consapevolezza di essere uomo e cittadino, di aver diritto alla  dignità sociale, che non è data solo  dal  lavoro per il quale ha studiato e sudato, ma risiede nella possibilità di esprimere se stesso, le proprie aspirazioni e realizzare la propria vita  nel luogo in cui è nato, ha trovato finalmente altre mani tese ed un progetto da condividere.  Si  sono saldati i malesseri e i sogni di due generazioni: la prima,  coeva al terremoto del 1980, è uscita sconfitta politicamente ma non annullata dall’ etnocidio che ha seguito il sisma, la successiva generazione ha aperto gli occhi dopo la desolazione del post- terremoto e ne ha subito e rifiutato  le alienanti brutture. Potrebbe sembrare un retroterra negativo , e invece ne è seguita una progettualità che è umana, culturale e politica  che nasce dall’esasperante assenza di risposte alle esigenze del territorio, condensata di un atto di resistenza alla degradazione  civile ed alla deriva morale ed economica che ne è conseguita. La cecità di chi si occupa di degrado del sud è palese in questo ricondurre il tutto al dato economico dello spopolamento per mancanza di chances materiali. Certo, il  lavoro è il primum vivere, ma questi giovani pur  consapevoli della precarietà dei tempi, del loro plumbeo peso, non accettano il ruolo di conformisti e gregari non accettano una vita da comparse, un contentarsi di salvare se stessi pereat mundus  riservato dalla retorica nazionale alle domande sempre pressanti di protagonismo e dignità. Un’altra ragione è la sconfitta del pilatismo, male antico delle generazioni acculturate del sud. Questi giovani hanno letto da Salvemini a Brancati a Tomasi di Lampedusa, dall’invettiva contro gli indifferenti di Gramsci in poi, nell’incertezza di una prospettiva sicura di vita, hanno tradotto bene nelle loro esistenze il verso montaliano: cosa non sono, cosa non vogliono essere. Non vogliono il clientelismo, rifiutano l’assistenzialismo ma rifiutano pure il diktat meritocratico che si risolve in una finzione: se le condizioni non sono uguali, la gara è falsata  in partenza. Tornano in auge i valori di collaborazione, condivisione , solidarietà. Non è un caso che quasi tutti hanno in comune storie di volontariato, di assistenza sociale e culturale e le vicende  umane si intrecciano attorno a questi  canovacci di formazione ; tantissimi sono passati, a distanza di anni, dalle stesse fucine: la radio, l’associazionismo culturale la biblioteca. Quest’ultima costituisce davvero l’ossatura del nuovo gruppo politico. In qualche anno, grazie all’apporto di varie persone ben collocate in ambito universitario delle professioni e dell’industria culturale, è sorto un progetto che è politico e di formazione , con una squadra capace di dialogare con le scuole e di interagire con altre istituzioni, creando attività di vario tipo orientate alla crescita umana e culturale del territorio, inventando decine di iniziative che hanno trovato varia eco anche in ambito nazionale. Come sempre accade, dietro grandi e piccole imprese c’è un esempio, una guida, un faro umano  capace di dare senso e vita alle proprie aspirazioni e di superare le tante disillusioni. Quest’uomo, per noi,  è stato  Gerardo Marotta. Venuto a Palomonte per impiantarvi

un nuovo esperimento sulla falsariga delle scuole estive dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, vi è tornato più volte, incantando tutti con la semplicità del tratto umano, la sconfinata cultura, con l’ardimento civico e l’esempio, che possiamo dire evangelico. In tempi di rassegnato pessimismo, ci voleva il propellente umano, qualcosa e qualcuno in cui credere. Perché forse la differenza generazionale sta tutta qua: non basta la teoria, ci vuole la carne e il sangue per metterla in pratica, oltre il timore dell’impresa, anche oltre la certezza della sconfitta. Spinta da questi  remi e tenuta a galla dal fasciame di tante speranza, questa  piccola nave prende il largo in un mare sconosciuto e affronta le prime tempeste. Potrebbe colare a picco, come tanti esperimenti e speranze del sud, ma si  tratta  di un impasto tra politica e poesia: magari sarà subissata e  sempre tornerà a riva. Come recita una poesia: “me al largo sospinge ancora il non domato spirito, e della vita il doloroso amore“.

Mariano Casciano, avvocato, è il nuovo sindaco di Palomonte eletto nello scorso giugno alle ultime elezioni comunali. Qui la lista L’Albero di Mariano Casciano è arrivata prima con 1133 voti, il 41,38 per cento del totale, con una inedita proposta politica e rompendo un vecchio sistema locale che governava il piccolo centro cilentano da decenni.

 

 

 

 

 

 

 

Mariano Casciano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *