Sulla prima pagina del quotidiano La città di Salerno, campeggia in questi giorni l’immagine sponsorizzata di Charlot, di cui nel 2017 è stato il quarantennale della morte. La nota faccia del comico è forse servita a mimetizzare il brusco passaggio di consegne di capodanno tra Andrea Manzi, entrato solo un anno fa, e il nuovo direttore Antonio Manzo. A parte l’analogia dei cognomi, c’è però ben poco di comico nella tormentata storia di questo giornale (a cui chi scrive ha collaborato per qualche anno), dopo questo ennesimo episodio che si aggiunge alle numerose vicissitudini degli ultimi tempi. E bene ha fatto il nuovo direttore a chiudere in poche righe il suo saluto ai lettori e ad astenersi (almeno finora) da alcuna dichiarazione programmatica, scelta prudente, vista l’aria che tira. Ben più articolato è stato invece il commiato del direttore uscente, a cominciare dal titolo “esco di scena”, più adatto al mondo teatrale che ad una sobria chiusura editoriale. La sobrietà del resto ha fatto difetto fin dal principio di una vicenda che sembra esemplare e la cui cessione avvenuta un anno fa aveva già in sè tutti i prodromi della attuale crisi. La vendita dal gruppo Repubblica Espresso alla Società Edizioni salernitane srl, composta da un pool di imprenditori locali, Lombardo-Scarlato e il distributore Di Canto, con interessi vari, nella sanità, nella carta, nel calcio, nel turismo ma senza alcuna esperienza pregressa di editoria, era foriera di un percorso avventuroso e accidentato per il giornale e i suoi dipendenti. Con 13 giornalisti e due poligrafici, più due amministrativi, la testata è stata acquistata per una cifra irrisoria, un passivo di circa quattrocentomila euro, e un non voluto fardello di cause legali in corso; con questi presupposti era evidente che i costi del lavoro sarebbero stati insostenibili per un tale investimento. Il piano industriale presentato dalla proprietà nel maggio 2017 era stato del resto molto chiaro al proposito. L’analisi delle perdite portava la proprietà ad affermare già in quella sede che la soluzione era nella “riduzione del costo del lavoro, elemento indispensabile per riprogrammare il futuro” e che bisognava evitare “il metodo assistenziale di un gruppo (Repubblica Espresso ndr) che soccorreva i giornali in perdita con l’attivo di altri giornali strutturando così le friabilità aziendali e allontanando taluni giornali da una moderna competitività” e così concludeva: “occorre chiedersi se la difesa sindacale esasperata delle singole posizioni sia o meno funzionale alla salvaguardia del bene “. In altre parole si rimproverava al gruppo nazionale che attraverso la Finegil controllava 18 quotidiani locali sparsi tra varie regioni del centro nord, di ripartirne le perdite tra le varie testate, e ai sindacati di fare il proprio mestiere. Ma si rimproverava anche di concentrare altrove le notizie nazionali, che invece avrebbero dovuto ritornare in capo alla testata. Il ragionamento, trasmesso al direttore, aggiungeva altre considerazioni, come il rivendicare di aver riportato il giornale in un alveo locale, e di rivolgersi, dopo i tagli necessari, sia all’esternalizzazione del web e dello sport (settori altamente strategici e “identitari”) ma anche al “grande polmone esterno” costituito dai collaboratori, in realtà una vasta sacca di precari pagati con scarsi e ridicoli compensi. In molti avevano salutato con favore il ritorno di Andrea Manzi al quotidiano che aveva diretto dal ‘96 al 2002; alcune posizioni molto nette prese prima dell’incarico, l’idea di un “giornale di comunità”, di spazio agli “ultimi”, avevano lasciato presagire un giornale forse più leggero ma fresco e vivace vincendo i vari dubbi; in breve tempo la “comunità” si è rivelata quasi la stessa degli anni novanta quando il giornale era controllato dall’ ex ministro psi Claudio Signorile; gli “ultimi” hanno lasciato il posto a personaggi per nulla ultimi nel panorama istituzionale locale, dall’ex ministro Conte al magistrato Russo, al segretario del Pd salernitano Landolfi; le cronache regionali sono diventate sempre più in linea con gran parte della stampa campana che rilancia e amplifica ogni giorno i messaggi del presidente della Regione; articoli dal piglio culturale ci hanno spiegato le radici “antropologiche” delle Luci di artista; figure d’antan della pubblicistica salernitana hanno impresso una linea conformista e un po’ datata che ha finito con l’offuscare del tutto le buone intenzioni dell’esordio. Il giornale è apparso preda dei “soliti noti” e la visione di una Italia vista da Salerno ha finito con il registrare notizie e notiziole nazionali di qualsiasi tipo che ha travisato del tutto la “linea identitaria” del giornale che si è retta per venti anni sul tratto locale, vero core business di un giornale che si chiama “La città” , quotidiano di Salerno. Ma se bisognava non guardare l’Italia da Salerno, quanto piuttosto il contrario, la rottura arriva negli ultimi mesi, quando arriva un appello con 300 firme contro un preoccupante frazionamento societario della proprietà. Scrivono i giornalisti nello scorso novembre: “I giornalisti de “la Città” hanno letto con sconcerto, ieri mattina, l’editoriale in cui il direttore responsabile Andrea Manzi ha inteso derubricare a mera questione di “incomunicabilità” una girandola di mutamenti societari che al momento rendono ignota l’identità dei veri proprietari della testata e separano quest’ultima dai dipendenti”. E il comunicato prosegue: “Una scelta che ci addolora ma purtroppo non ci trova sorpresi. Da mesi la direzione è schiacciata sulle posizioni dell’azienda, anche quando queste si traducono in condotte lesive della dignità professionale dei giornalisti”. Un frazionamento che spartisce i pezzi tra i vari interessi proprietari, fino all’abbinamento in edicola con il Quotidiano nazionale che ne aliena ulteriormente e forse definitivamente la “linea identitaria” e le notizie nazionali finiscono al gruppo tosco emiliano di Riffeser. Vince così una linea commerciale che deve abbattere i costi, spezzettare il giornale, mandando i redattori in cassa integrazione e deve ricavare profitti con una merce che si chiama informazione. Alla luce di questa storia emerge la desolante condizione di un giornale che è stato leader nell’informazione locale e la cui battaglia è stata forse condotta male fin dall’inizio, a cominciare dalla perdita per Salerno della presenza di un gruppo editoriale nazionale. Se oggi quindi si lamenta un’economia senza orizzonti, non si fa che tracciare il profilo di un ben noto scenario forse prevedibile fin dall’inizio, dove la “comunità” ha finito col perdere il suo giornale. Il rapporto tra giornalismo professionale ed editoria d’occasione ne esce alquanto malconcio. Si spera solo di non ritrovarci questa esperienza premiata da qualche posto al sole alle prossime elezioni, magari in qualche lista di una coalizione di sinistra.
nelle foto i direttori Andrea Manzi e Antonio Manzo
http://www.lacittadisalerno.it/cronaca/comunicato-sindacale-1.1743060