Oltre l’immaginazione al potere, il maggio francese, la liberazione sessuale e il ricco armamentario retorico del ’68, in molti hanno dimenticato quale fosse l’Italia di allora, con quale costume si trovavano a combattere all’epoca non solo i giovani ma anche i tanti che avevano una visione del mondo più colta e progressista. Una delle pagine più oscure degli anni ’60 italiani fu il caso Braibanti, un caso clamoroso di cui si occuparono le cronache giudiziarie dell’epoca e molte personalità importanti della cultura italiana, come Eco, Pasolini, Moravia, Carmelo Bene. Fu una sorta di processo ad Oscar Wilde un secolo dopo, visto che il vero atto d’accusa era contro l’omosessualità, considerata allora un vizio mostruoso. Nell’Italia perbenista e bigotta di quegli anni, dove una ragazza madre famosa come Mina faceva scandalo, dove il PCI teneva segreta la peccaminosa relazione tra Togliatti e Iotti, si va a riesumare, unico caso nella storia giudiziaria italiana, il reato di plagio del codice fascista. Aldo Braibanti, scrittore, poeta, partigiano, figura di intellettuale colto e “irregolare”, viene accusato di aver plagiato il giovane Giovanni Sanfratello, esponente di una famiglia cattolica integralista, una famiglia che tornerà alla cronache in altre occasioni, come con Agostino Sanfratello coinvolto in un altro famoso processo dei gruppi femministi salernitani che combattevano contro l’aborto clandestino. Il caso Braibanti è tornato alla memoria grazie ad un testo teatrale, scritto da Massimiliano Palmese, giovane autore e organizzatore teatrale, riproposto nello scorso mese di novembre al Teatro 18 B di Roma e pubblicato di recente dalla casa editrice napoletana Caracò. Il testo prende le mosse dal saggio di Gabriele Ferluga Il processo Braibanti, pubblicato nel 2003, che unisce i materiali originali del processo, e da Sotto il segno del plagio, libro che riunisce i contributi di numerosi intellettuali dell’epoca tra cui Umberto Eco che analizza il processo sotto l’aspetto semiotico e Cesare Musatti dal versante psichiatrico. Molti inoltre i materiali dello stesso Braibanti, scritti e interviste di un uomo mite, che si occupava di mirmecologia, lo studio delle formiche. Negli anni ’60 Braibanti lavora in teatro con Carmelo Bene, collabora con i Quaderni Piacentini e intanto conosce il giovane Sanfratello con il quale stabilisce una stretta relazione. Di lì a poco, nel ’64, Ippolito Sanfratello, padre di Giovanni, presenta denuncia alla Procura di Roma contro Braibanti e trova una sponda nel pubblico Ministero Antonio Loiacono che con l’ accusa di plagio rinvia al processo lo studioso. Nella pensione romana dove i due si erano rifugiati, quattro uomini portano via Giovanni con la forza per trasferirlo in una clinica privata per malattie nervose, poi al manicomio di Verona dove subirà elettroshock e coma insulinici. Dopo un processo durato 4 anni, nel ’68 Braibanti viene condannato a nove anni che in appello diventano sei, ne sconta solo due per il suo passato di partigiano. A suo favore si mobilitarono Moravia, Pasolini, Bellocchio. Pasolini scrive: “Se c’e un uomo mite nel senso più puro del
termine, questo è Braibanti: egli non si è appoggiato infatti mai a niente e a nessuno; non ha chiesto o preteso mai nulla. Qual è dunque il delitto che egli ha commesso per essere condannato attraverso l’accusa, pretestuale, di plagio? Il suo delitto è stata la sua debolezza. Ma questa debolezza egli se l’è scelta e voluta, rifiutando qualsiasi forma di autorità: autorità, che, come autore, in qualche modo, gli sarebbe pervenuta naturalmente, solo che egli avesse accettato anche in misura minima una qualsiasi idea comune di intellettuale: o quella comunista o quella borghese o quella cattolica, o quella, semplicemente, letteraria… Invece egli si è rifiutato d’identificarsi con qualsiasi di queste figure – infine buffonesche – di intellettuale”.”Un fatto ignobile. commenta Carmelo Bene, uno dei tanti petali di questo fiore marcito che è l’Italia”. “Braibanti, scrive Palmese, fu lasciato solo a combattere una battaglia che alla fine perse. Gli atti del suo processo sono già profondamente teatrali. C’è il dramma, la commedia, e persino la farsa. La sua è la tragedia di un uomo solo, che viene schiacciato da più parti, da più poteri”. Il giovane Sanfratello fu dimesso dal manicomio con l’obbligo di tornare in famiglia e finanche il divieto di leggere libri; al processo le sue dichiarazioni in difesa di Braibanti non servirono a nulla contro la requisitoria del PM entrata negli annali della storia giudiziaria del nostro paese: “Il giovane Sanfratello era un malato, e la sua malattia aveva un nome: Aldo Braibanti, signori della Corte! Quando appare lui tutto è buio”. Braibanti diventa così, il “mostro”, l’omosessuale, il pervertito dove anche il suo aspetto fisico è messo alla berlina, ancora il PM Loiacono: ” E poi, diciamolo pure, Aldo Braibanti è brutto. Se avesse potuto farsi più bello, certamente lo avrebbe fatto. Il suo aspetto invece è restato quello che è. Piccolo, stortignaccolo, vittima di complessi di inferiorità, ha cercato la sua rivincita servendosi di un’intelligenza lucida e fredda, per dominare ed essere il primo a tutti i costi. L’uomo nasce libero. Dio lo vuole libero. Ma Braibanti è un essere senza carità, è solo cervello, è solo sesso. Il suo scopo non era solo di impossessarsi del corpo di questo maschio, ma della sua anima. Per noi c’è un Dio che fa sentire la sua voce, per quest’uomo schiavo dei sensi non c’è Dio! Ha insidiato l’anima di Giovanni Sanfratello con luciferina volontà, malvagio, perfido, osceno! Chiedo una pena esemplare, affinché nessun professorucolo possa venire, domani, a togliere la libertà a un innocente!” Scriverà poi Braibanti: “Ancora oggi il processo Braibanti viene definito da chi lo studia un processo di destra. Perché da destra venivano tutti i protagonisti di quel processo, insieme a tutti i preti e agli psichiatri che mi accusarono. Il primario dell’Ospedale Psichiatrico di Verona, lo specialista dal nome angelico, Cherubino Trabucchi, era fratello dell’ex Ministro delle Finanze democristiano, coinvolto proprio in quell’anno in vari scandali e truffe. Il perito psichiatrico nominato dal Tribunale, poi, Aldo Semerari, era un uomo che aveva ottime frequentazioni: servizi segreti, camorra, P2, Banda della Magliana. Un processo di destra, anche perché in gioco c’era la libertà di pensiero”. Quello di Palmese è un “ oratorio civile” che parla della società italiana, di politica e di omosessualità, di un caso che “non vuole morire”.“L’Italia non ricorda” è la prima battuta del personaggio, l’omaggio alla memoria di un poeta che subì un processo-farsa di cui il testo denuncia il dramma e il clima da caccia alle streghe; non una pagina del passato quindi, ma una ferita profonda, ancora aperta. Una ferita alla storia del nostro paese ma sopratutto una ferita inferta agli uomini che ne furono colpiti. Braibanti, che era già stato in carcere sotto il regime fascista, si riprese a stento e pochi anni prima della morte, venne parzialmente risarcito dallo Stato con l’aiuto della Legge Bacchelli. Scriverà La Repubblica in tale occasione: “Vive tra libri, ricordi e formicai di gesso in un povero appartamento semi-diroccato; da tempo gli è morto il corvo che girava libero per casa e giustamente non ha alcun piacere a restare impiccato, o crocifisso, a quella triste vicenda così remota nel tempo. Il vitalizio della legge Bacchelli, per il quale si sono battuti parecchi parlamentari, gli arriva dunque come un assai tardivo risarcimento”. Al giovane Sanfratello, scomparso un anno fa e dai più dimenticato, toccò forse una sorte ancora peggiore, è stato sepolto vivo nella fede fanatica della sua famiglia.