1. IMMOBILISMO
Vivere questa città, significa fare i conti con un’unica realtà: l’immobilismo conservatore. Certo, consola che questo ci ponga al pari di una realtà diffusa a livello nazionale o forse globale. Ma qui appare nella sua forma pura, perché permea di sé qualsiasi aspetto del vivere, pubblico o privato, intersecandosi con il terrore di un qualsivoglia cambiamento, piccolo o grande che sia. Panico diffuso avvolge le vite dei cittadini dal conferimento dei rifiuti al manifestare un’opinione, dalla lecita richiesta di un servizio allo svolgimento del proprio lavoro o al modificare le proprie abitudini. Perché? Non accettare il “così è sempre stato” significa esporsi, correre dei rischi, pagare eventualmente delle conseguenze. Eppure, è illogico non farlo quando si ha la consapevolezza che non si vive sereni, che non viene tutelato il bene comune, che il perseverare consolida solo gli interessi di pochi a danno di molti, che vengono allontanate per sempre possibilità di sviluppo e benessere. Pensiamoci. Senza paura.
2. APPARENZA
Ciò che viene salvato a discapito di ogni logica razionale e di ogni benessere, personale e collettivo, è dover apparire e, dunque, vivere come il pensiero comune ha stabilito. Pertanto, non si lascia spazio né alla propria sostanza, soprattutto se non coincidente con quella dei più, né all’ascolto altrui, soprattutto se ‘non allineati’. Non vi è allora da meravigliarsi se il razzismo è latente dietro un buonismo di facciata; se l’accettazione di ogni diversità è solo in discorsi da bar, basta non tocchi il proprio cerchio vitale; se i problemi sociali o economici sono nascosti ‘sotto spessi tappeti’. Mentalità obsoleta. Anacronistica e spaventosa in un mondo interconnesso, indice di chiusa ignoranza. Freniamola. Superiamola. Soprattutto non trasmettiamola alle giovani generazioni.
3. INDIFFERENZA
La città dovrebbe essere il luogo della comunità, della condivisione, della solidarietà. Un insieme in cui l’io si coniughi con il noi. E non per mero idealismo, ma per convenienza personale. Se ognuno si occupasse un po’ della vita cittadina, scoprirebbe la convenienza della legalità, la necessità di oculatezza di gestione economica della cosa pubblica, il bisogno di scelte moderne e coraggiose per migliorare la città e diffondere un benessere collettivo. Democrazia è partecipazione, diceva Gaber. Sarebbe il caso di credergli.
4. TURISMO
L’unico indotto economico reale può venire a questa città solo dal turismo. Non abbiamo mai avuto una vocazione industriale di continuità né, come vogliono far credere da trent’anni, il benessere diffuso può arrivare dalla edilizia. Il turismo, di qualsiasi natura – culturale religioso di svago -, è un’attività economica che non può e non deve basarsi su una improvvisazione maldestra. Né può né deve essere gestione di singoli, perché nell’interesse dell’intera comunità. È mortificante e triste passeggiare per un centro storico sporco e mal ridotto – a cominciare dalle strade -, privo di segnaletica adeguata, con luoghi storici chiusi e abbandonati, negozi con orari di quarant’anni fa, nessun tipo di accoglienza adeguata, nessun supporto cartaceo o virtuale per la conoscenza e la visita della città, totale mancanza di manifestazioni culturali ‘di respiro’ che pure potrebbero fungere da attrattori non da poco. La piccolezza dello sguardo si limita al guadagno momentaneo: tasse turistiche e consumi ‘mordi e fuggi’. Allarghiamo lo sguardo, consideriamo il turismo come gli antichi consideravano gli ospiti, sacri perché portavano il mondo nei luoghi che visitavano e a cui dedicare doni e accoglienza.
5. PULIZIA
Il mantra dell’estate 2022 è stato “inciviltà”. Sono incivili i cittadini, i turisti, i commercianti, i ragazzi, i bambini, i cani. Non si ha torto ad affermarlo se si guarda la cattiva pulizia delle strade, i cestini divenuti piccole discariche, la mancata raccolta delle feci dei cani….Eppure, questo è uno sguardo che si ferma ad un’analisi meramente superficiale, perché è lapalissiano capire che se per decenni si è trascurato il decoro della città, non si può pretendere all’improvviso un senso civico o addirittura estetico da parte di tutti. Se si è avuta la possibilità di viaggiare un po’, ci si accorgerebbe che laddove vi è pulizia e bellezza urbana, accade grazie a due piccoli semplici fattori: controlli e abitudine. Gettare a terra una carta o una cicca non accade con frequenza in luoghi dove le strade sono così pulite da far scattare un senso di colpa nel farlo; abbandonare un sacchetto di immondizia per strada non accade se i rifiuti sono conferiti in cassonetti pubblici di raccolta differenziata; lasciare gli escrementi dei cani non accade se vi sono distributori di sacchetti o zone deputate. E dove, su tutto questo, i vigili vigilano. Continuamente.
6. ARROGANZA
Un tempo la vita di provincia differiva da quella dei grandi centri per un senso di diffusa gentilezza ed umanità. Era ciò che innalzava la qualità della vita e talora faceva preferire il vivere in piccoli o medi centri. Il che non voleva e non vuol dire, ancora oggi, vivere in diminutio. Anzi. Molti luoghi in Italia e nel mondo dimostrano come sia più semplice e realizzabile avere un’alta qualità della vita in una realtà media. In questa città, complice il declino iniziato negli anni ’80, si è perso tutto questo. L’atteggiamento preponderante è divenuto una prepotente arroganza basata sul nulla. Nelle piccole come nelle grandi cose. Arrogante è il modus della relazione di qualsiasi istituzione con il singolo. Arrogante è l’aggressione verbale continua da parte di chiunque per qualsiasi cosa, dalla richiesta di una semplice informazione alla espressione del proprio punto di vista. Arrogante è perfino il tono di qualsiasi conversazione se non si condivide l’opinione di chi parla. Direi, parafrasando una celebre frase, che si può anche essere duri, ma senza perdere la gentilezza.
7. I VECCHI E I GIOVANI
Il nostro Stato – e anche in questo la nostra città ne è un fulgido esempio – declina il tempo all’indietro. Eppure, fin dalla preistoria il rapporto generazionale era vissuto con lo sguardo verso il futuro. I vecchi erano i depositari di un sapere e di una esperienza che serviva ai giovani come partenza e volano per costruire il futuro. Qui, da trent’anni a questa parte, si è smesso di pensarla così. Le generazioni si sono chiuse in una autoconservazione. Di privilegi sociali, di potere politico, di status economico. I più giovani sono da mantenere inetti e, quando si deciderà che sia giunto il loro momento, dovranno solo seguire le orme lasciate dai padri. Miopia terribile, perché è un ricominciare sempre da zero. Allora si va via dal nostro Paese. E da questa città.
8. CULTURA?
Alla domanda Salerno risponde: “no, grazie!”. Perché la cultura è un disvalore. Intendiamoci, la cultura in senso lato è un approccio di vita. Vuol dire rispetto, legalità, apertura mentale. E si ottiene non solo con lo studio, ma soprattutto con stimoli adeguati. Appunto. ADEGUATI. E cosa mette sotto i riflettori questa città se non una visione provinciale da panem et circensem, utile solo ad una ipocrita facciata populista di chi ci governa e alle tasche di pochi scelti eletti?
9. GLI “ALTRI”
Una città come questa, per la sua storia, è una città di ‘alterità’ e mescolanza. Basti pensare alla meravigliosa bellezza della Scuola medica, in cui, nel Medioevo, uomini – e donne – di provenienze, religioni, culture diversissime collaboravano insieme per la comunità. Il tempo ha cancellato i segni di questa storia. Allontanare il diverso, ovviamente in modo mai diretto, è da anni la regola. Dal migrante, ipocritamente accolto e spesso poi lasciato solo; alle numerose comunità di stranieri, ghettizzati addirittura nelle scuole; da chi non appartiene a cerchi più o meno magici, privato anche della possibilità di esprimersi o fare; a tutti i non allineati per modus vivendi o cogitandi, additati e schiacciati nella loro stessa libertà.
10. IL POSITIVO NASCOSTO
In questa città non mancano le ‘mosche bianche’. Uomini e donne che con tenacia, con perseveranza, con non poca follia cercano di cambiare le cose. Tante sono le realtà lavorative, culturali, sociali, imprenditoriali, singoli o gruppi, che sono positivamente attivi e talora all’avanguardia. Ma ci vuole un lavoro certosino o il caso a scoprirli. Vivono ed operano nel silenzio opprimente della città. Perché non fanno parte degli eletti, perché guardano al mondo, perché si sono chiusi in sé stessi dopo vane battaglie. Eppure, esistono. E resistono. Restati o tornati qui per idealismo, per amore della città, per convinzione di un possibile cambiamento. Delusi, per lo più. Nemo propheta in patria, dicevano gli antichi. Ma di questa positività costruttiva la città ne avrebbe davvero bisogno.