“Dotto’, non faccio più droga. Adesso ho un altro affare. Rende di più e soprattutto si rischia molto meno. Si chiama monnezza, dotto’. Perché per noi la monnezza è oro”. Sono queste le parole esatte che Nunzio Perrella pronunciò dinanzi all’allora pm Franco Roberti nel lontano 1992. L’ex boss del Rione Traiano, nel Comune di Napoli, decise 26 anni fa di cooperare come Collaboratore di Giustizia, scoperchiando un nuovo vaso di Pandora, quello del mercato illegale di rifiuti. Un vaso da cui sono stati sversati e resi pubblici una serie inimmaginabile di crimini e orrori, ai quali sembra ancora non si riesca a mettere fine. Negli ultimi giorni, dopo le vicende che hanno visto coinvolto l’ex assessore al bilancio del comune di Salerno, Roberto De Luca, gran parte dell’intero dibattito pubblico sembra essersi concentrato su un solo interrogativo: se fosse stato giusto o meno che un personaggio come l’ex boss Perrella, collaborasse con un organo di stampa per montare un’inchiesta, riguardante un nuovo possibile coinvolgimento di attuali politici e imprenditori nello smaltimento illecito dei rifiuti. Una domanda sembra invece essere passata in sordina più di tutte: al di là di ogni giudizio di merito sulla questione, come mai un rappresentante della pubblica amministrazione si incontra privatamente con un attore economico privato, per discutere di prezzi e credenziali di accesso ad una potenziale futura gara di appalto pubblica, che dovrebbe essere indetta dall’ente Regione Campania? Al minuto 7:57 del video tanto discusso, l’assessore De Luca, chiede infatti ragguagli sul prezzo di smaltimento. La risposta dell’ex boss Perrella è forse una delle chiavi di lettura completamente scomparsa dal dibattito: “Vorremmo avere noi indicazione su quali saranno i prezzi che possiamo fare e da lì partiamo poi con il nostro gioco”. Un gioco, al quale fa riferimento Perrella, che nella Regione Campania va avanti da oltre 20 anni, e nel quale affondano le radici del “disastro rifiuti” divenuto ormai sistemico, viste le smisurate dimensioni delle conseguenze e degli effetti su territorio, economia, società e sull’accumulo dei rifiuti ancora da smaltire. E’ proprio su questo “gioco” che si è concentrato il Centro Documentazione Conflitti Ambientali (Cdca, ndr), incrociando rapporti degli Osservatori Legambiente, documentazioni dell’Arpac Campania e della Corte Europea, in collaborazione con centri studi e dipartimenti universitari di Economia Ecologica, Ecologia Politica e Ricerca Sociale. A pag. 3 dello studio condotto e pubblicato nel 2009 dal Cdca, si legge chiaramente che “la contaminazione della regione è il risultato di pratiche non corrette di smaltimento dei rifiuti permesse dalla concessione di contratti di subappalto irregolari a consorzi privati”. Ed è proprio negli appalti, e in generale nella gestione economica dello smaltimento di rifiuti, che si snodano le maggiori criticità dell’infinita emergenza in Campania, grazie alla quale tanti hanno speculato e realizzato profitto, e troppi stanno pagandone le conseguenze sanitarie. Una delle maggiori inchieste giudiziarie sulla gestione illecita dei rifiuti riguarda proprio le cosìddette “ecoballe”, di cui l’ex assessore De Luca Jr e l’ex boss Perrella, discutevano privatamente lo scorso 7 febbraio 2018. L’inchiesta, nota come “Operazione Rompiballe”, fu condotta a partire dal 2002 dai magistrati Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, e portò alla luce il forte intreccio tra camorra, politica locale e imprenditori. In particolare furono sconcertanti le scoperte riguardo l’affidamento illecito per gare pubbliche al FIBE, un consorzio di 5 aziende che si “aggiudicarono” il totale controllo dello smaltimento di rifiuti e di gestione delle ecoballe, grazie a due principali caratteristiche: la velocità di attuazione dei servizi e la minimizzazione dei costi. Di fatti è stato proprio questo “continuo stato emergenziale” a determinare una gestione affannata, controversa e ambigua dei rifiuti in Campania. Nel 1996, per volontà del Governo Italiano, si introdusse la figura del “Commissario Straordinario per l’emergenza rifiuti”. Ruolo ricoperto prima dal Prefetto di Napoli, Umberto Improta, poi direttamente dai presidenti della Regione Campania, Antonio Rastrelli e successivamente Antonio Bassolino. “I poteri straordinari garantiti al Commissario hanno permesso decisioni rapide, tra queste va sicuramente segnalata quella di scegliere delle compagnie di trasporto dei rifiuti, del controllo dello stoccaggio delle ecoballe e dei siti delle discariche”, si legge nel rapporto Cdca. Poteri che nel corso degli anni hanno consentito deroghe su deroghe alla legge, alimentando una gestione sempre più confusa e approssimativa dello smaltimento dei rifiuti, che non ha reso difficile l’infiltrazione delle organizzazioni criminali, ma soprattutto dei loro metodi. I sequestri giudiziari, durante l’inchiesta “Rompiballe” hanno infatti evidenziato che le infrastrutture non erano in grado di separare i vari tipi di rifiuti e che non era possibile bruciare il CDR (Combustibili Derivati dai Rifiuti – impropriamente chiamate “ecoballe”, ndr). Nelle ecoballe campane sono state trovate percentuali di arsenico, superiori a quelle consentite dalla legge, ed anche oggetti interi (come ruote e cerchioni con la struttura ancora intatta). I frammenti umidi per di più, erano ancora troppo bagnati per essere inceneriti nei termovalorizzatori. Le ecoballe trattate possono contenere al massimo il 15% di umido, ma le concentrazioni rilevate sono superiori al 30%, impossibili da incenerire secondo le direttive europee e la legge italiana, in primo luogo per le alte emissioni tossiche che producono. Dopo l’arresto di 25 persone tra dipendenti di pubblica amministrazione e imprenditori, l’inchiesta Rompiballe si fermò arrivando ad un vicolo cieco tra “eccezioni di competenza territoriale” e sentenze di Cassazione emanate a rilento. Gli oltre 30 faldoni viaggiarono in lungo e in largo in Italia senza trovare un Tribunale che avviasse il processo, mentre le lancette della prescrizione correvano, scoccando nel 2014 e vedendo decadere diversi capi di imputazione per i “pezzi da 90” come Bertolaso e Bassolino. Oltre l’inchiesta Rompiballe, sono tante le questioni rimaste ancora irrisolte sulla gestione dei rifiuti in Campania, e tante sono le domande che nel passato come nel presente non vengono poste a tempo debito o non trovano risposte. Come ha potuto la macchina amministrativa della Regione Campania, dal 1994 al 2018, cioè in 24 anni e non 24 ore, non accorgersi di aziende incaricate con procedure pubbliche che violavano i protocolli ambientali, presentavano piani insufficienti, costruivano e gestivano impianti inefficienti e fallaci? Come si smaltiscono, oggi, milioni di tonnellate di rifiuti ancora accumulati in “ecoballe” da monitorare, una parte di queste trattate non secondo parametri leciti? Perché il sistema burocratico degli appalti e dell’affidamento pubblico ha sortito il risultato opposto a quello atteso di trasparenza e tutela sociale, e perché sembra ancora di assistere a queste scene parlando poi di “questioni di contorno”?