Una grande occasione si presenta per le prossime elezioni regionali, forse l’ultima, quella di cambiare finalmente le sorti della Campania. Una regione governata da più di venti anni dalle medesime persone, stretta nella morsa infernale degli eterni accordi con i capataz del territorio: il longevo De Mita nell’avellinese, il solito Mastella nel beneventano a cui si è aggiunto da qualche anno il De Luca già sindaco di Salerno più altri piccoli potentati in proprio che muovono tessere, posti, voti. Ma se né Bassolino che pure aveva tutte le carte in regola, né la breve parentesi di Caldoro, hanno risolto gli annosi e incancreniti problemi della regione, De Luca ha portato un valore aggiunto all’inerzia: una massiccia alterazione dei fatti che – con maggiori mezzi e rinnovata enfasi- ha perpetuato a Napoli la ventennale esperienza salernitana. Qui infatti è nata la favola del bravo amministratore che ha sedotto nel 2015 gran parte dei napoletani convinti che se aveva fatto così bene a Salerno, avrebbe fatto bene anche alla regione. Fortunatamente a Napoli sono bastati cinque anni per capire che il bluff non ha del tutto funzionato. I cartelli giganteggiano ancora sulle facciate di via Marina con slogan di risultati straordinari; si fanno ancora raduni imperiali come qualche giorno fa alla Mostra di Oltremare dove sono stati convocati 700 malcapitati infermieri ma la stampa napoletana è più libera e le critiche non sono mancate (vedi articolo su Repubblica Napoli di Aurelio Musi). E oggi De Luca nei sondaggi appare lontano di vari punti dal candidato della destra. Lo stesso Caldoro, indicato dalla compagine avversaria, non fa che confermare l’immobilità della classe politica campana che non riesce ad esprimere alcun ricambio della classe dirigente. Lo stuolo di giovani che si sono susseguiti alla guida del Pd napoletano che si è frantumato in mille pezzi in questi ultimi anni, appaiono incapaci di esprimere una posizione indipendente, pallidi funamboli sugli incerti equilibri del partito. A Salerno e in altre città della Campania non si avvertono particolari novità a sinistra. Compatti nella loro roccaforte di voti, armati di un fedele seguito come signori feudali, i vecchi e stantii signori dei voti campani continuano a dettare legge e oggi ci si ritrova in una enorme impasse con i 5 Stelle che non vogliono De Luca e il Pd che fa il gioco del deserto, prima vedere accordo poi mollare cammello. Il quale cammello va avanti per fatti suoi anche se si è presentato al conclave di Contigliano con il cappello in mano e con il figlio al seguito come in una gag di Peppino de Filippo. I nodi sono ancora tutti lì con Fico che in queste ultime ore ha fatto un passo avanti dichiarando apertamente la volontà di un accordo. Riusciranno i nostri eroi, ora che Di Maio farà un passo indietro? Come scrive Pino Vuolo nel suo articolo su questo blog, il Movimento ha paura e non riesce a scegliere ma nemmeno il Pd riesce a mollare il suo scalpitante candidato con tutti i suoi voti. Il conclave non ha sciolto i nodi, in Emilia, nelle Marche e in Calabria gli accordi non sono stati fatti e ora mancano altre regioni tra cui la nostra Campania. Se si guardasse ai fatti e non all’apparenza, scopriremmo che in primo luogo De Luca non ha fatto per niente bene a Salerno e che non ha fatto per niente bene nemmeno alla regione. Ha solo foraggiato le solite categorie di beneficiati, alcuni sindaci, i soliti protettorati, ha riempito di uomini propri l’amministrazione, e ha soprattutto continuato ad alimentare una delle più gigantesche fake news degli ultimi anni. La città di Salerno è stata letteralmente spolpata in questi venticinque anni di governi deluchiani. E la Campania, a dispetto dei proclami, degli annunci, di una miriade di promesse e di una copiosa pioggia di milioni, non riesce ad uscire dalla gabbia di impietose casistiche che la relegano inesorabilmente agli ultimi posti delle classifiche, negli indici della sanità, dell’economia, della qualità della vita. La crisi industriale è stata appena certificata da una ricerca della CGIL Campania e dall’Istituto Ires, con migliaia di perdite di posti di lavoro e altre migliaia di esuberi; l’utilizzo dei fondi europei vedono la regione agli ultimi posti; la sanità, nonostante l’uscita dal commissariamento e i famosi Lea più alti, resta critica e si preferiscono decisamente cure in altre regioni, migliaia di giovani ogni anno continuano ad andarsene e, non ultima, la questione dei rifiuti è rimasta irrisolta nei servizi generali e negli impianti. Il Commissariamento del consorzio bonifiche è scaduto senza alcun rinnovo da parte della Regione che si rimpalla le responsabilità con il governo e i numeri delle ecoballe smaltite certificano l’impossibilità dei vertici regionali di uscire dalla logica degli annunci. A fronte di questi scarsi risultati, una gestione che definire verticistica è un eufemismo, con gli assessorati timidi fantasmi, un numero impietoso di donne in ruoli chiave che sono rimaste silenziose e mute in questi cinque anni come monache di clausura. Dinanzi a tale quadro pietoso, sia il Pd sia i Cinque stelle sembrano non tenere in alcun conto le sorti dei cittadini campani. I 5 stelle continuano, a dieci anni dalla loro nascita, a rivelarsi inefficaci sui territori, incapaci di fronteggiare una politica di attrezzate vecchie volpi esprimendo quadri deboli, oppure si tirano proprio indietro dalla competizione. Nelle elezioni comunali del 2016 a Salerno i 5 stelle si sono tirati indietro e hanno portato in Parlamento il medico Provenza, ignorando più validi candidati, così lasciando il campo libero agli uomini di De Luca; lo stesso comportamento nelle suppletive napoletane con l’indicazione di un perfetto sconosciuto che ha come titolo l’amicizia con il leader, in sostituzione del compianto Ortolani; intanto dimenticando chi fosse Ortolani e poi, l’unica lezione appresa dalla vecchia politica pare quella di piazzare i propri amici, una specie di modello renziano del giglio magico. Ma se si può rimpiangere il movimento della prima ora, la sua perdita di innocenza, e la sua velleitaria volontà di diventare egemoni nel paese senza imparare l’arte della politica, ciò che rimarrà decisamente imperdonabile per noi campani sarà abbandonare la regione al suo destino degli eterni e immarcescibili feudatari e al vecchio potere di sempre.