Giornalisti di razza/Intervista a Enzo D’Antona

 

L’informazione non gode di ottima salute.  Crisi delle vendite, cessioni di testate, sacche enormi di precariato tra i giovani che continuano ad aspirare ad una professione sempre più irraggiungibile.  A questo si aggiunge, soprattutto nelle nostre zone, l’inclinazione al dilettantismo più sfrenato, con il ricorso a collaborazioni attinte da varie professioni che finiscono per rendere la figura del giornalista ancora più inutile e superflua. Non ultimo, un servilismo patologico che ha ridotto i giornali a meri portavoce della politica dominante.  Ne viene fuori una stampa locale scarsamente autorevole, timorosa e pavida che usa i giornali come sistema di lotta politica e di intrecci di relazioni amicali o partitiche. Il caso di “La città” di Salerno, quotidiano del gruppo Repubblica Espresso, venduto dopo anni di “onorata carriera”,  è ormai un caso freddo ma non per questo meno emblematico. Ceduto da un giorno all’altro ad imprenditori del tutto nuovi al settore dell’editoria, ha mostrato in questo primo anno vicende  preoccupanti per il gruppo redazionale. Il carattere di autonomia che aveva raggiunto negli anni, con punte vivaci nell’ultimo periodo prima della cessione, è stato via via ammorbidito, col risultato che è sempre più difficile trovare oggi una voce critica nell’informazione salernitana.  In tale panorama, l’unica sponda è la professionalità dei pochi maestri rimasti, giornalisti di razza che sono cresciuti a pane e indipendenza, che si sono fatti le ossa su un giornalismo di inchiesta coraggioso,  specialmente nei territori governati dalle mafie e dalle criminalità organizzate. Tra questi è rimasto nella

illustrazione di Licio Esposito per l’inserto “Il Vangelo secondo Matteo”

memoria del piccolo giornale salernitano, Enzo D’ Antona che ha diretto il quotidiano per un anno e mezzo, prima di andare a dirigere “Il piccolo” di Trieste. La traccia lasciata da D’Antona è stata una grande lezione di giornalismo che ha radici nella sua annosa esperienza nella grande stampa italiana, prima come corrispondente di “L’ora” di Palermo, poi al settimanale “Il Mondo” infine redattore capo a “La Repubblica”. Nel corso dei mesi che è rimasto a Salerno, D’Antona ha avviato un’idea di giornalismo serio e indipendente, interprete degli stimoli e delle pulsioni migliori del suo bacino d’utenza e  che considera il suo pubblico una comunità. Anima siciliana, di quella Sicilia di grandi come Sciascia, per il quale in un piccolo paese si può scoprire il mondo,  D’antona ha lanciato iniziative e incontri, ha chiamato colleghi illustri del gruppo a presentare libri e filmati, con il giornale sempre in primo piano, per un progetto di sviluppo del piccolo quotidiano salernitano che avrebbe dovuto avere vita lunga e che invece è rimasto monco:  “Quella alla “Città” di Salerno, ci dice D’Antona raggiunto a Trieste,  è stata la più bella esperienza della mia vita giornalistica, e lo dico sul serio, sarà perché è durata poco ma è stata molto importante e mi è dispiaciuto molto interromperla a metà strada.  Non era esattamente la prima volta che mi occupavo di stampa locale, sono nato in provincia anche professionalmente, ai confini estremi dell’impero editoriale, quando facevo il corrispondente de “L’ora” di Palermo mi appoggiavo alla redazione del giornale “La Sicilia” di Catania dove andavo con la mia macchina da scrivere e quindi conosco bene la provincia italiana.  Così, quando mi hanno proposto di dirigere uno dei giornali locali del gruppo, ho scelto io “La città” perché era il giornale più bisognoso e si trattava di lanciare una sfida e una scommessa”.

Opera di Vavuso per “L’oro di La città”

Sfida e scommesse purtroppo vinte solo in parte, visto il passaggio ad altra direzione e poi la vendita del giornale.

“Certo, era un progetto che doveva durare almeno cinque anni per vedere solidi risultati ma anche quel breve periodo ha significato un incremento delle vendite del giornale che da un po’ stava fermo,  questo in controtendenza con il mercato nazionale, e per noi giornalisti è la cosa più importante, l’editore pensa alla pubblicità, noi pensiamo al lettore, un aumento delle vendite è la misura del nostro successo. Bisogna anche considerare che l’intero sistema dei giornali è stato dimezzato negli ultimi cinque anni, è in questo scenario che ci muoviamo, quindi il primo obiettivo era fermare il crollo e migliorare la performance e devo dire che in alcuni mesi abbiamo incrementato le vendite di una percentuale del tre, quattro per cento”.

Un risultato lusinghiero.

“Si, anche perché dovevamo inseguire “Il Mattino” che quando sono arrivato era più forte a Salerno città, bisognava guadagnare al giornale il cuore della città, creare un legame più stretto con i salernitani, così abbiamo ampliato alcune pagine di cronaca, nonostante le poche unità della redazione che è sempre stata sotto sforzo” .

Il giornale aveva già una sua storia con la lunga direzione di Angelo Di Marino, tuttavia hai impresso una impronta diversa.

“ Una delle cose che ho imparato a “L’ora”di Palermo è che puoi fare grande giornalismo anche con quello che succede sotto casa mentre puoi fare pessimo giornalismo occupandoti della Casa Bianca; nel caso di “La città” di Salerno ho applicato tutti i canoni che avevo imparato a “L’ Ora”, a “Il Mondo”, a “Repubblica”, che poi ha rappresentato per me lavorare in quanto c’è di meglio del giornalismo italiano. Sono quei canoni professionali in cui non c’è nulla di dilettantesco, anzi c’è il massimo della professionalità con la cura di ogni più piccolo dettaglio; bisogna rispettare lo spirito di autonomia e di autoreferenzialità, nel senso di un giornale che risponde solo a se stesso e non ad altri e questo ho cercato di fare, un giornale che nel suo piccolo è l’ articolazione locale di un grande gruppo”.

Si trattava anche di uscire da una routine un po’ stanca.

“Ho una  grande stima di Di Marino che per quasi venti anni è stato in una specie di avamposto, una “Fortezza Bastiani” del gruppo, per certi aspetti lontana e sola, con una redazione di poche unità che faceva miracoli, si trattava di ridare entusiasmo ad un lavoro con un progetto a lungo termine. Ma quell’anno e mezzo mi ha fatto amare Salerno che per me è una città interessante, operosa. All’inizio la redazione era molto diffidente perché era già sotto stress alle prese con un folto numero di pagine;  c’è stato un momento in cui mi hanno detto che io non li conoscevo e io gli ho risposto: vi sbagliate, noi ci conosciamo da venti anni perché e da venti anni che lavoro con persone come voi”.

Alcune iniziative sono rimaste negli annali del giornale, il Vangelo di Matteo disegnato da Licio Esposito, i libretti di Alfonso Gatto, le presentazioni alla Feltrinelli, con Attilio Bolzoni, Gianfrancesco Turano, Antonio Calabrò, la presentazione del nuovo “Espresso” con Luigi Vicinanza.

“Ma anche le serate sul rock  con Ernesto Assante al Modo, la mostra sull’Oro di “La Città” con Vavuso, i gialli dell’estate…”

Il giornale come terminale multimediale di eventi, sulla informazione, sulla legalità, sulla cultura…

“Certo, il giornale non è solo un erogatore di notizie ma un attore culturale sul territorio, è un luogo di scambio di idee e deve essere al centro di una community, deve diventare un punto di riferimento in cui ciascuno possa riconoscersi ed è una occasione di conoscenza”.

Eppure questa città operosa come la definisci tu, è ferma ad un blocco di potere da più di venti anni dal quale non riesce a smuoversi.

“L’operosità dei salernitani non ha nulla a che vedere con la politica stagnante ma per quel poco che sono stato a Salerno io non credo che qualcuno abbia usurpato un potere ai cittadini, o che qualcuno si sia preso un potere a dispetto dei salernitani, Salerno è una tra le città meglio organizzate del mezzogiorno e il gap di partecipazione, la delega alla  politica è qualcosa che riguarda tutto il sud”.

Salerno è sempre stata una città meglio organizzata nel contesto campano.  Ma resta l’dea meridionale del politico come principe feudale.

“In qualche modo sì. Come tu sai nel periodo in cui ho diretto “La Città” non ho mai avuto una frequentazione con certi ambienti di potere, anzi sono ancora in corso querele, ma io credo che la città si sarebbe modernizzata a prescindere e che sono stati i salernitani a scegliere un determinato tipo di potere”.

Ma questo ha fatto sì che si perdesse una identità, compresa l’identità di un giornale, tanto è vero che è stato venduto nel silenzio generale, non credo che questo accadrebbe  con  “Il Piccolo”,  Trieste insorgerebbe se perdesse il suo giornale di riferimento.

“Anche il basso grado di coinvolgimento emotivo ad un proprio giornale è un problema che riguarda tutto il sud, non è colpa dei salernitani se si è venduto il giornale”.

Quindi è un problema del sud e non di Salerno, città che ti è piaciuta e di cui vedi i lati positivi.

“Molto, tanto è vero che penso di tornarci. Ciascuno di noi meridionali non conosce i sud degli altri; eppure io avevo fatto tante inchieste e avevo la solita idea dei napoletani e della napoletanità scaltra e stracciona e invece ho capito cos’è la Campania e come alcuni stereotipi vengano alimentati da un certo modo di autoproporsi. Tutto il sud è degno di essere vissuto, che cosa ci propone il nord? E’ qui che c’è una grande riserva intellettuale di idee, è a sud dove sta il futuro e tra le città dove potrei tornare, Salerno sta ai primi posti”.

Nelle foto alcune delle iniziative di “La città” diretta da D’Antona e gli incontri alla Feltrinelli di Salerno.

 

 

Luciana Libero

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