Salerno “Fuori Roma”, la Liala di Rai3

“E’ con il proprio lavoro che risponde una giornalista”. Così ha replicato Concita De Gregorio all’ira funesta di  Vincenzo De Luca dopo la trasmissione di Rai 3 “Fuori Roma” del 25 marzo. Giusto, e con che altro? E’ solo sul lavoro giornalistico, sulla sua qualità che un programma va giudicato, a prescindere dalle reazioni sempre più virulente e fuori misura del destinatario che in questi giorni sta prendendo più colpi di Jack La Motta. D’altra parte è comprensibile che chi ha costruito per decenni una “narrazione” di una città,  come un laboratorio mondiale delle virtù, senza badare a spese, si innervosisca di fronte ai continui nemici che attaccano da più parti, come un Isaia Sales che parla di satrapie o un Lorenzo Forte sulle Fonderie Pisano. E’ normale che non si abbia piacere che questo modello venga un po’ sfigurato nella sua perfezione, non dai soliti “sfessati” oppositori locali, ma dalla stampa nazionale che ha un audience del tutto diversa e rischia di rovinare un lavoro di 25 anni. Detto questo, va anche aggiunto che la  trasmissione della De Gregorio presenta molte pecche proprio nel suo carattere di reportage giornalistico. Perché se a Bari si intervistano solo gli amici di Emiliano, è ovvio che l’immagine della città ne esca un po’ falsata, magari struggente e suggestiva, ma assolutamente farlocca. Lo stesso  titolo, “Fuori Roma” che pone la capitale come centro di osservazione, conferma quel vizietto autoreferenziale di una certa sinistra, quella che ha vinto solo ai Parioli e a via Monte Napoleone, per capirci. Alcune sviste poi appaiono imperdonabili. Passi che lo scrittore più famoso della città non conosca la storia delle “Chiancarelle” (anche se la lacuna andrebbe colmata al più presto) ma Teresa De Sio che c’azzecca? La brava e simpatica cantante, nutrita alla squisita scuola del sound napoletano, sta a Salerno come la Madunina a Catania, non rappresenta la città, tantomeno ne è la “voce” musicale, e affidare a lei il giudizio sul Crescent, con la mamma che ha perso il panorama,  è una randellata ad un secolo di buon giornalismo. E non si comprende perché  mai non sia presente la voce di Italia Nostra, alle cui azioni si devono gli attuali procedimenti giudiziari in corso per i numerosi illeciti compiti nella costruzione dell’edificio sul lungomare  in zona demaniale,  del tutto omessi dal programma. Come si è detto di recente all’incontro sul Sistema Salerno, la speculazione salernitana è oggi superiore al “sacco” edilizio degli anni ’60,  quando intere campagne furono sventrate per far posto ad orrendi palazzoni e ad altrettanto brutti quartieri. Ma allora quello scempio si muoveva nell’assenza di una coscienza ambientale, mentre negli anni ’90 è puro stupro di un territorio; nè si può tollerare che un reportage del servizio pubblico, si trasformi in un racconto letterario e stralunato come quello  cui indulge De Silva visto che non siamo dalle parti di  “certi bambini”.  Da tempo ormai i cittadini salernitani assistono- chi passivamente chi cercando strenuamente di opporsi- a questa gigantesca fake news sulla città che dura appunto da più di venti anni, nutrita da una stampa locale servile e connivente, con interessi diretti e indiretti nel “regime” deluchiano,  dove si continuano a propinare favole al pubblico. Concita De Gregorio si comporta appunto come una giovane nonnina che racconta ai suoi bimbi spettatori la favoletta della Salerno deluchiana che sì, vabbè, è un po’ criminale, però  ha tanti bei monumenti, le medichesse, i talenti,  come la compositrice Rocchetto, pensatori come l’antropologo Apolito e il rettore Tomasetti,  finanche una cantante famosa  e via di questo passo. Il programma non raggiunge le vette di superficialità del  recente“grand tour” del Mulino,  (anche questo decantato sui giornali salernitani) ma se la maggior pare degli intervistati sono questi, sia pure con tante sfumature di grigio,  non può che venirne fuori un’immagine “pettinata”, direbbe Freccero. Il problema di una inchiesta giornalistica è sempre lo stesso, la qualità e l’attendibilità delle fonti. E far parlare di ambiente l’ex ministro Pecoraro Scanio travolto dagli scandali e da allora fortunatamente desaparecido, è un’altra bella trovata. Se Salerno non ha una vita culturale produttiva, come ci insegna l’antropologo Apolito,  tranne una offerta improvvisata e dilettantesca del tutto funzionale, è perché la cultura è stata calpestata a favore di un gruppo di incompetenti ben nutriti che girano come le api  sul miele e gli operatori professionisti se ne sono andati altrove; perché le strutture esistenti  risanate con fondi europei sono gestite “in proprio” dal Comune e a favore degli amici; e anche quelle poche qualificate vengono svuotate dei propri contenuti e omologate al sistema (vedi Fondazione Menna). La nobile tradizione della Scuola medica salernitana, vero grande attrattore della città,  non si risolve citando romanticamente la medichessa Trotula su cui si è riversata una abbondante pubblicistica locale, ma informando che oggi essa è racchiusa in una Fondazione privatistica, della quale nulla deve trapelare, se non un pugno di nominati  e un’attività fatta di serate con delitto al Museo Papi (sic!). Se è vero che l’Università se ne è andata altrove per volere di De Mita va anche detto che ciò è avvenuto con la complicità della sinistra e che nessuna politica di raccordo  tra città e campus è stata da allora mai fatta; che il rettore Tomasetti è impegnato in politica in formazioni di destra, (nulla di male ma va detto), e che le Luci di artista non sono “consumo culturale” ma una delle leve della propaganda fatta con denaro pubblico. Queste non sono opinioni di diverse scuole antropologiche ma fatti, perché a Torino le luci di artista sono un progetto di consumo culturale ma non a Salerno. Se uno oggi vuole descrivere Salerno deve uscire dal salotto bon ton, con i set allestiti al salone dei marmi o nel foyer del Verdi, e far passare il drone sulle periferie scassate, sui palazzoni deprimenti della litoranea, sui palazzetti dello sport incompiuti, e magari tenere come colonna sonora i rapper salernitani. Non si tratta, come scrive il ricercatore Pirone nel saggio del Mulino, “della capacità di mettere in forma e rappresentare uno stabile sistema di interessi locali che, direttamente o indirettamente, ha contribuito al governo e alle strategie di trasformazione della città” ma di raccontare quale prezzo abbia pagato la città nel suo intero, visto che oggi anche questo consenso ( le cui profonde ragioni non vengono mai sfiorate) è venuto meno e quindi il momento sarebbe quanto mai propizio per avviare uno storytelling più realistico, senza bisogno dei salvatori del regime dell’ultima ora. La fortuna dell’originale viaggio in Italia dei tempi di Goethe fu proprio quella di raccontare, oltre il meraviglioso, l’orrore,  ed è incredibile constatare come oggi quelle cronache risultino più veritiere dell’informazione del terzo millennio, una sorta di Liala del giornalismo italiano, con il principe che sì, è un po’ cattivo “ma anche”, direbbe Veltroni, un po’ buono.

Luciana Libero

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